Ashoka: replicabilità e scalabilità per il bene comune

Educomunicazione e partecipazione giovanile in Brasile e in Italia. Come è possibile replicare il proprio modello di impatto?

Lima

Dal bisogno di promuovere una partecipazione attiva, effettiva e affettiva, così come la definisce l’Ashoka Fellow e fondatore di Viração Educomunicação Paulo Lima, nel 2003 è nata in Brasile una rivista creata e curata dai ragazzi che adotta come metodologia l’Educomunicazione: un’interfaccia tra educazione e comunicazione che sia democratica, partecipativa e aperta.

L’approccio a cui si guarda ai territori è stato e talvolta continua a essere di tipo assistenzialistico. Più di rado le associazioni giovanili e i ragazzi vengono visti come i veri protagonisti del cambiamento, insieme alle loro idee e azioni. A partire da quest’ultima prospettiva, trova spazio Viração Educomunicação, un’organizzazione movimento consapevole delle potenzialità degli adolescenti e soprattutto che li riconosce come soggetti politici e di diritto. Così, la rivista, o come preferisce chiamarla Paulo, il progetto sociale stampato, vede giovani adolescenti raccontare il proprio territorio in prima persona, attraverso l’utilizzo dei media più disparati e con l’obiettivo di generare cambiamenti di politica pubblica. Cambiamenti che hanno a cuore tematiche quali i diritti umani e il cambiamento climatico, trattate con un occhio attento alla partecipazione e alla collaborazione con, per e a partire dai giovani.

Questo progetto, nato nel Sud America, ha varcato i confini nazionali; testimonianza del fatto che è possibile replicare i modelli di innovazione sociale, con gli opportuni accorgimenti legati al contesto.

Ma come è stato possibile dar vita a Jangada in Italia, partendo da Viração Educomunicação?

Paulo sostiene che il concetto della replicabilità e la sua concreta realizzazione siano molto interessanti da analizzare e ritiene che stando in rete e se il terreno è aperto, la replicabilità avviene. Tuttavia, sono indispensabili alcuni presupposti affinché sia possibile replicare il proprio modello:

  • una “licenza creative commons”, ovvero il fatto che i propri progetti non siano coperti da copyright e dunque manchi un proprietario. Al contrario, la metodologia adottata è frutto di donazione, di denaro pubblico, volontariato e quindi frutto di un’economia del dono.
  • trasparenza, fondamentale perché consente di socializzare una tecnologia sociale che senza prescindere dal contesto e anzi, ancorato ad esso, permette di far germogliare iniziative nuove e diverse al contempo.

Condivisione, collaborazione, fare rete, lasciarsi ispirare paiono ancora una volta i concetti guida per un cambiamento sistemico, aiutando le persone, con le parole di Paulo, a “uscire dal proprio orticello” per adottare una visione olistica e internazionale.